Home RubricheStile di vita Una startup nata in soffitta, tra gli abiti vintage di mamma

Una startup nata in soffitta, tra gli abiti vintage di mamma

Menaboh e la second hand economy

da redazione

Menaboh è una startup guidata da Gaia Rialti. Al suo fianco troviamo l’altra Cofounder Teodora Sevastakieva e la CMO Gabrielle Mastronardo, americana con un’esperienza in Zalando. Il nome della startup è un evidente richiamo al settore della moda. «Con Menaboh vogliamo riscrivere i canoni del settore. La “h” finale l’abbiamo usata perché vogliamo portare un qualcosa di inaspettato». Al momento l’azienda tiene un magazzino dove si sono accumulati 500 capi di abbigliamento vintage (e non solo) in attesa di tornare negli armadi. E quegli abiti che proprio non si possono rimettere in circolazione? «Non li butto, li do in beneficienza».

Una startup nata in soffitta, tra gli abiti vintage di mamma. La storia di Menaboh raccontata dalla Ceo Gaia Rialti

«Durante la pandemia sono salita nella soffitta di casa. E mai mi sarei aspettata la quantità di vestiti vintage che mia mamma vi aveva accumulato. Una selezione fantastica». Nel luogo dove di solito si accumulano polvere e ricordi, è nata un’idea. Gaia Rialti, 31 anni, è la founder e Ceo di Menaboh, una startup early stage che sta partecipando al batch in corso di Hubble, il percorso di accelerazione di Nana Bianca a Firenze. Il suo è un ecommerce vintage, ispirato all’economia circolare della moda. «La mission è mantenere in circolazione più a lungo possibile i capi», ci spiega. Un’industria, quella della moda, in cui l’Italia eccelle sta facendo i conti – come tutte le altre del resto – con il proprio impatto ambientale. Se parliamo soltanto di abbigliamento sulla bilancia, ogni anno, si calcolano 40 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Fast fashion, consumismo, chiamatelo come volete. Non è sostenibile, punto. «È partito tutto dentro di me: quasi due anni fa mi sono imposta di non comprare più cose nuove».

Abbonarsi alla second hand economy
In prospettiva l’obiettivo di Menaboh è lanciare un servizio in abbonamento in modo non soltanto di rimettere in circolazione abiti vintage, ma anche eventualmente di ritirare capi che le clienti non utilizzano più. La second hand economy è un trend in rapida crescita che sta investendo diversi prodotti di consumo, dalla moda fino all’elettronica. Grazie a una maggiore sensibilità sulle tematiche ambientali, ci siamo tutti resi un po’ più conto del fatto che “usato” non significa “da buttare”.

Non si butta nulla
«Per gli abiti vintage non prendiamo nulla che non abbia almeno 20 anni di storia. Mi rifornisco da un’associazione di donne che mi ha donato questi vestiti». C’è poi la parte di second hand economy: sono i capi su cui Menaboh interviene grazie al lavoro di una sarta, aggiungendo bottoni o tocchi di stile. «E poi collaboro con circa 30 brand che possono vendere sul nostro ecommerce le collezioni invendute. Ad oggi tutti i capi che abbiamo rilavorato sono frutto del passaparola. E così dovrà diventare un domani la community di Menaboh». A completarne il team ci sono Matilde Di Bella e Renata Rubio.

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