La Logopedia interessa un campo di intervento in cui i problemi sono spesso complessi e richiedono di tener conto di una pluralità di fattori. Si impiega tanto per i più piccoli quanto per individui di tutte le età che abbiano qualche tipo di difficoltà ad esprimersi. La caratteristica più affascinante di questa professionalità è il suo scendere in campo per risolvere le problematiche del singolo su cui la terapia viene cucita in modo sartoriale come fosse un abito unico, ad hoc per l’individuo a cui lo specialista si dedica, e si tratterà di un abito eccezionale e di altissima fattura.
Trattandosi di disciplina basata sulle parole, certo la parola d’ordine è sicuramente empatia ma, a fronte delle competenze e profonda sensibilità che l’esercizio di questa professione richiedono, c’è l’altro aspetto, di certo poco gratificante, legato al contesto lavorativo fatto di partite IVA e tante difficoltà.
Abbiamo scelto la giovane Dott.ssa Giulia Vellucci per offrire ai Lettori di Monolite Notizie il punto di vista di una giovane che si è appassionata a questo lavoro, nonostante sia ben consapevole di quanto ‘costi’ crederci, specie nel contesto lavorativo romano.
Dott.ssa Giulia Vellucci, a chi non sa cosa sia come spiega di cosa si interessa la Logopedia?
Inizierei subito dall’etimologia della parola, come faccio quando, spesso, mi capita di incontrare persone che non sanno di cosa si occupi la Logopedia. Il termine proviene dal greco è si scompone in due parole.
Logos, che in greco significa discorso, e pedía, che significa invece educazione. Quindi l’obiettivo del logopedista è quello di educare alla parola.
Ovviamente il campo d’azione del Logopedista è molto ampio nonostante sia una professione molto specifica.
Dottoressa Giulia Vellucci, lei perché ha scelto di studiare per diventare Logopedista?
In realtà nel momento in cui ho scelto non ero pienamente consapevole della mia scelta, è stata una scelta difficile, non immediata e in tutta sincerità inizialmente è stata una decisione più razionale e meno instintiva. Con il tempo però tutto è diventato chiaro per me ed ogni giorno che passa mi rendo conto che non potevo scegliere qualcosa di più adatto a me!
Perché ha capito questo?
Ho sempre avuto una predisposizione per la relazione con i bambini, con gli anziani o comunque in generale con le persone sensibili, acute, poco giudicanti, aperte, vulnerabili, pronte all’ascolto e alla relazione. Mi piacciono le lingue, mi piace l’italiano, usarlo, migliorarlo, studiarlo, capirlo analizzarlo, mi piace lo spagnolo, mi piace la lingua dei segni italiana…mi piace tutto ciò che può essere trasmesso attraverso la comunicazione e il linguaggio.
Mi ha sempre affascinato il fatto che la proprietà di linguaggio è una delle cose che ci contraddistingue da tutte le altre specie. Siamo l’unica specie che ha sviluppato le capacità verbali e linguistiche, pertanto questa nostra competenza innata, che diamo per scontata e che a volte ci dimentichiamo di quanto invece vada comunque allenata e curata, mi affascina fortemente.
Inoltre, mi piace vedere il mondo attraverso gli occhi, il pensiero e la vita degli altri, mi piace capire e riflettere sul perché ognuno di noi abbia un modo diverso di agire, di approcciarsi alla vita, mi piace toccare con mano la diversità che c’è in ognuno di noi. Mi piace ascoltare le esperienze degli altri e mettere in discussione il mio punto di vista, il mio vissuto, il mio pensiero.
Mi piace la naturalezza con cui un bambino si affida a te, non ti conosce ma sa benissimo di chi può fidarsi, da solo, senza il costante controllo degli adulti; mi piace anche la naturalezza con cui un adulto disposto a cambiare ripone fiducia in te.
Il lavoro che ho scelto mi permette tutto questo, mi permette di coltivare anche le mie tendenze e di nutrire la mia persona, la mia identità.
Per tutti questi motivi credo che per me sia come un viaggio, mi piace viaggiare oltre che per vedere posti nuovi, soprattutto per conoscere la cultura, le persone e le attitudini del posto in cui mi trovo, quindi la relazione con l’altro diventa un viaggio quotidiano in cui c’è sempre qualcosa che puoi imparare, qualcosa su cui riflettere, qualcosa da mettere in discussione.
Ogni attività a cui ci si dedica ha delle criticità, ce ne sono anche nel suo lavoro di logopedista?
Quella che ho descritto fino ad ora è la parte che amo del mio lavoro, arrivare a fine giornata e aver ricevuto e donato senza essermene accorta.
Ho parlato finora di sensazioni, emozioni, pensieri, scambi che non sono visibili o tangibili agli occhi degli altri è una parte di me che probabilmente conosco solo io e nemmeno fino in fondo, la parte più visibile e più tangibile spesso è quella un po’ più buia e cupa.
Essere una logopedista vuol dire confrontarsi tutti i giorni con la difficoltà, la frustrazione e la disabilità dei pazienti che seguo e delle loro famiglie; significa fallire, provare, riprovare, fallire, riuscire, fallire di nuovo e riuscire di nuovo; non c’è una ricetta che possa risolvere in un tempo prestabilito la difficoltà che il paziente porta alla luce, non c’è una risposta a tutte le domande che le famiglie mi pongono, non c’è un tempo, uno spazio in cui possiamo avere delle certezze.
C’è un percorso, ci sono delle variabili, ci sono dei tentativi basati su metodo scientifico, a volte, oppure basati sull’osservazione attenta dell’individuo che ci troviamo di fronte, ci sono momenti leggeri e momenti pesanti; c’è la rabbia, la tristezza, il pianto, il sorriso, il divertiti, il dolore, c’è il gettare la spugna e poi riprenderla, c’è un’evoluzione positiva, un’evoluzione negativa e una fase statica, c’è una connessione, c’è una disconnessione.
È un lavoro basato sulla relazione e come tutte le relazioni può funzionare oppure no.
Quando la relazione non funziona è frustrante, ti chiedi dove e cosa hai sbagliato, perché non sei riuscita a trasmettere e a donare ciò che avevi dentro, forse potevi fare di più forse potevi dire quella frase in un modo diverso. Quando funziona invece è una soddisfazione inspiegabile, c’è un momento in cui ti senti al posto giusto, nel momento giusto, e sai che non potevi essere che lì, quella è la cosa giusta per entrambi, solo tu e la persona con cui sei in quel momento lo sapete, nessun altro può vedere da fuori la connessione che vi ha permesso insieme di raggiungere dei cambiamenti.
Dott.ssa Giulia Vellucci, ha delineato con profonda sincerità il valore del suo impegno lavorativo che è diventato una passione. Dal punto di vista del mondo lavorativo per il Logopedista com’è la situazione?
Ecco questa parte è quella di cui non mi piace mai parlare, ma di cui parlo in realtà spesso perché è la frustrazione che noi logopedisti proviamo di fronte alla situazione lavorativa italiana o meglio quella romana che è quella che io vivo e conosco, pertanto l’unica di cui posso parlare sulla base dell’esperienza.
Il lavoro c’è e si trova; se si lavora nel privato si può anche guadagnare abbastanza bene anche se la concorrenza è tanta, ma la massima fonte di reddito proviene spesso da cliniche e centri che ti assicurano una mole di pazienti abbastanza cospicua, anche 8 pazienti al giorno, con un compenso quasi sempre inadeguato.
La connessione di cui vi ho parlato, quella da creare nella relazione con l’altro, risulta molto difficile da trovare quando si lavora molte ore al giorno con le persone.
Dott.ssa, ci parli di come queste problematiche si riflettono sul suo lavoro.
Siamo liberi professionisti, a partita iva, ma con degli orari e giorni fissi, dei doveri, delle incombenze, delle regole ma non abbiamo i giorni di malattia, le ferie, la tredicesima, le assenze dei pazienti non vengono pagate e per arrivare a fine mese non puoi avere meno di 8 pazienti al giorno.
A Natale non si lavora, a Pasqua nemmeno e d’estate molto poco, abbiamo molto tempo libero che ci serve sicuramente per ‘ricaricare le pile’ , ma lavoriamo ad ore, se non lavoriamo non guadagnamo.
In più ci sono le tasse da pagare, su una media di 15,00 € l’ora che è più o meno la retribuzione media di un logopedista bisogna togliere il 33%, il netto che rimane non è il massimo.
Non dico che tutti siano così, per fortuna ci sono dei centri che fanno dei contratti regolari e ci sono dei centri privati che con la partita IVA pagano un po’ meglio.
Dott.ssa Vellucci, qual è il suo desiderio per il futuro lavorativo?
Io sogno una sanità che sia sana davvero, un governo che riconosca l’importanza della nostra figura professionale, delle responsabilità che abbiamo, della delicatezza e della serenità con cui dovremmo affrontare il nostro lavoro. Vorrei una sanità che collabori con la scuola, perché la nostra figura è ibrida è clinica ma allo stesso tempo educativa. Sogno un posto con meno settorializzazione, più cooperazione e più tutele lavorative. Non è una polemica è una denuncia di una realtà e sono sicura di parlare a nome di tutti i miei colleghi e colleghe logopedisti/e e di tutte le figure sanitarie che si trovano nella nostra stessa situazione, sperando che essendo uniti qualcosa nel futuro possa cambiare.