Al teatro Quirino va in scena, fino al 6 marzo, il testo capolavoro di Miller che incarna ossessioni attualissime, specchio della contemporanea fame di successo e popolarità. Ad interpretarlo c’è Michele Placido che sostituisce Alessandro Haber che, per motivi di salute, ha dovuto rinunciare allo spettacolo.
“Auguriamo ad Haber una pronta guarigione e ringraziamo Michele Placido che ha lasciato i panni di un Goldoni per interpretare il protagonista di ‘Morte di un commesso viaggiatore’ – scrivono gli organizzatori – per consentire alla compagnia di non fermarsi. Per questo motivo va preso in considerazione il pochissimo tempo che ha avuto a disposizione per interpretare il personaggio. Sul testo Placido ha dichiarato sia« pienamente attuale e universale. Pensiamo ai giovani, alla crisi che stiamo vivendo, al culto del denaro, alla convinzione che se non sei visibile, non vali nulla. Pasolini anni fa diceva che si stavano allevando le persone a diventare consumatori. La storia gli ha dato ragione.
Il fallimento oggi riguarda il settanta percento o di più di tutti noi, costretti ad un ritmo che inaridisce e rende disumani». Insieme allattore e regista pugliese ci sono undici attori. «Alla fine di ogni replica esco sul palco ringraziando direttamente il pubblico per non aver rinunciato a questo rito umano chiamato teatro. Dico: grazie per la mascherina che indossate e che ci permette di respirare cultura». Così in attesa di vedere sul grande schermo il prossimo film di Placido intitolato
” L’ombra di Caravaggio” (uscirà «In autunno, dopo Venezia. Uscire oggi sarebbe follia»), Michele Placido ci regala questa splendida interpretazione a teatro.
Il suo personaggio, Willy Loman, si domanda: “Cosa ci faccio in questa città dove, senza aspettative, sono un uomo morto?».
Accanto a Placido c’è Alvia Reale, per la regia di Leo Muscato. Placido mette i panni dell’eroe tragico disegnato da Arthur Miller: un comune venditore che non riesce a essere all’altezza dei suoi sogni, o meglio del sogno americano sposato per fede cieca fino all’estremo sacrificio. Il dramma, rappresentato in tutto il mondo, ha ancora mordente veritiero qui ed ora come lo era nel 1949 quando vide la luce: «La nostra vita è fatta di sogni, diceva qualcuno. Sogniamo e non riusciamo a comprendere quello che abbiamo dentro di noi. Quello di Willy Logan è un sogno premonitore, un dialogo con le persone che non ci sono più a cui chiede come potersi prendere una rivincita sulla società opulenta che lo ha abbandonato condannandolo a sognare il successo»
Anche se la tematica affrontata da Miller è complessa, Michele Placido sa mantenere costantemente alta l’attenzione degli spettatori con una convincente e realistica interpretazione del “commesso viaggiatore”, un uomo ormai avviato sulla strada del tramonto. Colpisce molto e fa riflettere vedere questo uomo combattuto da impietosi tentativi di qualificazione positiva di sé e dei suoi figli. Tutto ciò coinvolge emotivamente il pubblico che, sicuramente, almeno in parte e in misura diversa, non era del tutto esente dalle problematiche affrontate da Willy Loman. Quante speranze e quante rinunce infrante.
Il “sogno americano”, in fondo, non è stato, non è, nè sarà dissimile dai “nostri sogni”, perché nessuno può sfuggire al bilancio esistenziale della propria vita e meno che mai alle riflessioni sulle aspettative che si hanno nei riguardi dei propri figli.
Amarissima la conclusione della vicenda e la considerazione che “terminati i sacrifici per pagare le innumerevoli rate della casa … essa non sarebbe servita più a nessuno …”.
In fondo Willy Loman somiglia un po’ a noi, a chi più e a chi meno.
Assolutamente credibile l’ottimo Michele Placido.
Ciro Battaglia