L’altro ieri, con la scomparsa di Alain Delon a 88 anni, il mondo ha perso un gigante tra i sex symbol, non solo un attore leggendario, ma anche l’incarnazione vivente di una bellezza incredibile ed impareggiabile, capace di sintetizzare il dualismo tra lineamenti d’angelo e carisma quasi diabolico di quei due occhi di ghiaccio. Difficile da descrivere, inafferrabile, così forte da imporsi senza paragoni, naturale eppure di una complessità eccezionale.
Con lui muore il principe Tancredi, l’affascinante protagonista de “Il Gattopardo” di Luchino Visconti. Muore il timoroso Rocco immortalato nel racconto del 1960, “Rocco e i suoi fratelli”. Muore Zorro, il paladino firmato da Duccio Tessari nel 1975 e muore anche “Il Tulipano Nero” di C. Jaque del ’64 in cui Delon si sdoppia in due meravigliosi “gemelli”. Muore il barone di Charlus pensato da Marcel Proust in “Alla ricerca del tempo perduto”, trasposto nel film “Un amore di Swann” (1984). Ma non si perde nulla di quella incontenibile magia ipnotica che sprigiona in tutti i film dove ancora palpita di quella ribellione indecifrabile, suo ineguagliabile marchio di fabbrica.
Solitario e misterioso, quasi cupo come la gran parte dei personaggi che veste nel cinema rimanendo in parte se stesso, Delon è e rimane indimenticabile per la sua bellezza quasi sovrumana, virile e naturale, raffinata e passionale, venerata e temuta.
Due giorni dopo la sua dipartita ci lascia a farci domande sul senso di questa sensazione di vuoto profondo ed irrimediabile. Perchè ci fa questo effetto? Perchè ne avvertiamo la vertigine?
Di certo Alain Delon è un personaggio a dir poco controverso, ma semplificarlo solo al suo straordinario aspetto estetico è riduttivo. Possedeva quel quid così irresistibile da farlo scegliere dai più grandi registi del suo tempo: da Visconti a Michelangelo Antonioni, da Joseph Losey a Jean -Luc Godard fino ad Agnès Varda. Eppure il paradosso che ci infastidisce, ascoltando come lo raccontano i media, è che, nonostante la lunga carriera tra cinema, tv e teatro, di lui alla fine si citino sempre i soliti due film. Mentre sul piano privato non si finisce mai di fare altri nomi.
La vita privata del bello per eccellenza è stata da sempre costellata da innumerevoli relazioni intessute sull’orlo dell’eccesso, storie e storielle che hanno popolato i rotocalchi rosa per decenni, mostrando una carrellata di relazioni burrascose.
Per noi tra tutte resta impresso, crediamo anche nell’immaginario collettivo, il lungo legame con l’attrice Romy Schneider, la famosa “principessa Sissi”, iniziato nel 1958, dopo averla conosciuta sul set de “L’amante pura”. L’attrice lo trovò immediatamente antipatico per quell’arroganza strafottente con cui si era presentato. Lei disse: “troppo bello, troppo giovane, troppo arrogante”. In effetti Alain, ancora così giovane, era già troppo per chiunque. Aveva l’allure dei veri divi e la esercitava senza tregua a dispetto dei suoi demoni interiori.
Quel legame che si creò poi tra Romy e Delon, con tutta probabilità costato all’attrice una atroce crisi depressiva, è durato tra clamori e dolori fino al 1964, intervallato da un flirt di Delon con la cantante Nico da cui nacque nel ’62 un figlio mai riconosciuto (Christian Aaron Boulogne, adottato dopo poco dalla madre dello stesso Alain). Quando la Schneider morì nel 1982, stroncata a soli 43 anni da un infarto, ma anche estenuata dai dolori della perdita di un figlio 14enne per un incidente domestico e da quelle irrisolte ferite al cuore inferte proprio da Alain Delon, lui che, invaghitosi di un’altra, l’aveva lasciata anni prima scrivendole solo due righe, ritrovandola tanti anni dopo come “fratello e sorella” sul set de “La piscina”, precipitatosi a darle l’ultimo saluto, le scrisse una lettera struggente, ricordandola come “l’amore della mia vita”.
“…quella nostra vita che non interessava a nessuno ci ha separati. Ma ci siamo chiamati spesso, si proprio così, ci siamo dati dei segnali. (…)
La nostra amicizia risiedeva nel sangue, nella somiglianza, nelle parole.
Proprio in quella lettera è lo stesso Alain a descrivere se stesso attraverso le parole del regista Luchino Visconti in modo così limpido:
…il regista fu Visconti. Ci diceva che ci assomigliavamo, che avevamo fra le sopracciglia la stessa “V” che si increspava per la collera, per la paura di vivere, per il terrore. Lui la chiamava la “V di Rembrandt”, perché diceva che nel suo autoritratto questo artista si era raffigurato con la stessa “V”.
Adesso ti guardo dormire e la “V di Rembrandt” è scomparsa. Adesso non hai più paura. Non stai più in agguato, non sei più preda di cacciatori.
La caccia è finita e tu finalmente riposi. Ti guardo ancora e ancora e ancora.
Guardando l’amica forse Alain si specchiava in se stesso. Serena dopo tanta ribellione. Rifletteva, contemplava l’armonia della pace.
Non si vede mai pace nelle tante storie d’amore passionali collezionate dal bellissimo Delon -insieme ad altrettante strazianti chiusure. Il modello che si replica non è mai quello dell’amore scoccato per incanto e con lieto fine tra Tancredi e Angelica (nel capolavoro “Il Gattopardo”). Le storie reali di Alain Delon sono sempre varianti che, come in una maledizione, incarnano innumerevoli volte quella descrizione pronunciata nel film dal vero “Gattopardo”, reso in modo maestoso da Burt Lancaster:
“L’amore. Certo, l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta”,
come scriveva lapidario Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo capolavoro, affresco di un’epoca. Dice poi il Principe di Salina:
“I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria.”
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”
Ecco: Alain Delon perfetto lo era davvero. Gira sul web una fotografia emblematica “dell’effetto Delon” in cui Alain siede accanto ad una ragazza – la giovanissima Marianna Faithfull- con al fianco la mitica rock star Mick Jagger.
L’uomo più bello mai esistito, come molti lo hanno definito, è stato un‘icona non solo di stile (mai Borsalino fu indossato meglio) ma di una mascolinità enigmatica, capace di affascinare e inquietare allo stesso tempo. Protagonista dei sogni di ogni donna, da giovane era uno dei volto del cinema più famosi del pianeta.
Nato in Francia, Delon ha sempre riconosciuto nell‘Italia la sua patria artistica, il luogo dove è “nato” come attore. Film come i citati “Rocco e i suoi fratelli” e “Il Gattopardo” lo hanno consacrato come una delle figure più affascinanti e complesse del cinema internazionale, oltre che senza eguali per bellezza. Grazie ai film dei registi italiani Delon si lega all’Italia e impara molto bene l’italiano, tanto da auto-definirsi “francese di nascita e italiano di cuore”.
In queste pellicole, Delon ha saputo incarnare personaggi intrisi di quella malinconia e tormento che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita, come un marchio indelebile.
Delon non è stato solo un grande attore, ma un simbolo, un archetipo di bellezza e pericolo, fin troppo consapevole di questa immensa dote estetica, un Narciso moderno la cui leggenda vivrà per sempre anche grazie alla alchimia che faceva scattare con la sua innata presenza scenica, capace di dominare una inquadratura come nessuno.
Anche da giovanissimo aveva mostrato di stregare con il suo solo essere presente.
Le donne lo adoravano, gli uomini lo ammiravano e lo invidiavano. Il suo carisma era tanto portentoso quanto innegabile, ma dietro quel sorriso magnifico e quello sguardo conturbante si celava un’anima tormentata, ribelle in modo particolare, cosciente di voler essere un uomo che ha voluto vivere intensamente i suoi ruoli, senza mai recitare.
“Io sono un incidente,”
dichiarò Delon, consapevole di essere un’anomalia, un fenomeno irripetibile nel panorama cinematografico.
La rivalità con Jean-Paul Belmondo, altro grande del cinema francese, era notoria, ma anche profondamente simbolica. Mentre Belmondo era il “comedien”, l’attore che recita, Delon si definiva “acteur”, l’attore che vive. Questa distinzione sottolineava la differenza essenziale tra i due: Delon non recitava, viveva i suoi ruoli, con un’intensità che lo rendeva unico.
Ritiratosi dalle scene nel 2018, Delon ha vissuto gli ultimi anni lontano dai riflettori, convivendo con una profonda depressione e con il desiderio, più volte espresso, di porre fine a una vita che ormai non gli dava più nulla. Una invocazione alla eutanasia che non ha mancato di scuotere l’opinione pubblica per questa particolarità che ad invocarla fosse proprio l’emblema naturale di una bellezza sconfinata giunta però come tutti, impietosamente al capolinea di ogni altro desiderio se non di farla finita, spenta eppure ancora in vita. Rivela tutta l’umanità di una divinità che ha sempre pensato a sè, traboccante di una bellezza implacabile, concentrata solo ad ardere, invoca di spegnersi.
“La vita non mi dà più molto. Ho conosciuto tutto, ho visto tutto”
confessava con amara lucidità. Non c’è rimpianto nelle sue parole, solo una malinconica rassegnazione davanti a un mondo che non riconosceva più.
Non voleva nessuna cerimonia sfarzosa per la sua dipartita. Il suo desiderio era di essere sepolto accanto ai tanti suoi cani, un amore a cui è stato sempre fedele fin da piccino, aspetto che lo accomunava alla divina Brigitte Bardot, che a 39 anni, quando le sole sue iniziali B.B. evocavano sensualità ribellione e seduzione, lasciò lo show sistem sconcertando l’opinione pubblica proprio per dedicarsi alla causa animalista.
Entrambi dalle vite totalmente anticonvenzionali, entrambi figure così conturbanti da ammaliare chiunque avesse l’immensa fortuna di entrarci in contatto.
Alain Delon era stato male, durante gli ultimi periodi mentre si lasciava trasportare verso la morte, trapelavano notizie di inevitabili tensioni tra i tre figli, in conflitto per l’eredità (pare di oltre 300 milioni di euro) di un padre ancora vivo. Eppure, nonostante le polemiche di tutti i tipi che hanno accompagnato Delon, è rimasta la sensazione (o forse la speranza) di un uomo che se ne è andato serenamente, avvolto nella dolce malinconia di chi ha avuto davvero tutto, ma che alla fine ha fatto calare il sipario appagato dal non aver alcun rimpianto.
Per me l’addio a Delon è l’addio all’ultimo eroe romantico del cinema, un Dorian Gray perfetto, la cui bellezza magnetica e tormentata continuerà a risplendere nelle pellicole che ha lasciato in eredità al mondo. Come ha detto una sua collega attrice Claudia Cardinale,
“Il ballo è finito. Tancredi è salito a ballare con le stelle…per sempre tua, Angelica”,
un riferimento alla celebre scena de “Il Gattopardo” che immortala per sempre l’eleganza e la grandezza di Delon mentre balla un valzer e la coppia si scambia il bacio più passionale della storia del cinema nel film che ottiene la Palma d’Oro, vinta all’unanimità al Festival di Cannes del 1963.
La Cardinale ha dichiarato:
“Alain mi ripeteva sempre: potevamo avere una storia d’amore, invece siamo diventati una coppia mitica che non si è mai persa di vista”.
Pensiamo che la notizia della morte di Alain Delon ci abbia colpito per molte ragioni. Su tutte il fatto incontrovertibile che con lui scompare un’intera epoca, viene a mancare tra noi la leggenda vivente di un canone estetico e umano irripetibile. Un uomo che aveva visto realizzarsi tutti i suoi desideri ma alla fine, esausto, ancora carico di nodi irrisolti (abbandonato dal padre a sua volta non si perdonò di non essere stato un buon padre), voleva solo che tutto finisse.
Cos’altro voleva?
Lo rivela lui stesso nel 1996 durante una intervista di Bernard Pivot, rispondendo alla domanda: “E se Dio esiste, cosa le piacerebbe che le dicesse, dopo la sua morte, Alain Delon?”
Beh, le dirò…Poichè questo è il tuo più grande e profondo rammarico, lo so, vieni, ti porto da tuo padre e tua madre affinchè per la prima volta, finalmente, tu possa vederli insieme”.
Ecco perchè il Divo, il suo mito, quel misto di bellezza e tormento, di grandezza e fragilità, continuerà a vivere nei cuori e nelle menti di chi ha amato e ammirato il suo ineguagliabile talento.
Ora che Alain Delon riposa, l’eclissi dell’uomo consentirà al Divo di non morire mai.
Alessandra Battaglia