Dal 16 al 22 novembre 2024 la Capitale, presso lo storico spazio espositivo della Associazione Culturale “Lavatoio Contumaciale”, ha ospitato la mostra personale di Bernarda Visentini, intitolata “Archeosculture”. Un evento che ha permesso ai visitatori di intraprendere un viaggio artistico attraverso i simboli, i miti e le divinità antiche, con un forte richiamo alla connessione tra l’uomo, la natura e il divino. La mostra, curata dalla dott.ssa Carla Guidi, giornalista e critica d’arte, è stata animata da una forte componente emblematica che ha tratteggiato un percorso tra passato e presente, trasmettendo al pubblico, tra storia e spiritualità, l’esigenza di rivolgere un’attenzione particolare alla relazione tra gli esseri umani, la natura ed il linguaggio simbolico visivo. L’artista Bernarda Vicentini ha infatti preso ad esempio per la sua ispirazione, un periodo storico primordiale dove c’è stata una importante presenza di popolazioni basate su di una impostazione matriarcale, agricola e pacifica. Di tutto ciò hanno testimoniato varie autorevoli ricerche antropologiche ma come è stato dimostrato dal ritrovamento di utensili ma non di armi, dall’uso nella sepoltura della posizione fetale, come simbolico ritorno ciclico dalla nascita alla morte, nonché statuette femminili gravide ed innumerevoli simboli di rigenerazione vegetale ed animale. Da evidenziare che il “Lavatoio Contumaciale”, nel suo 50° anno di attività, ha scelto proprio di celebrare la scultura contemporanea attraverso la suggestiva ricerca aristica/archeologica di Bernarda Visentini, al centro del lavoro della quale, oltre ai citati affascinanti temi, c’è quel dualismo primordiale generativo che attraversa tutta la sua produzione artistica, come spiegato da lei stessa con questa semplice frase:
«Il dualismo tra estate e inverno, tra maschio e femmina, tra inizio e fine, tutto quello che appartiene al tempo ciclico naturale».
Le sue sculture sono fatte di cemento cellulare espanso, una materia che risulta quindi abbastanza leggera, ma emblematica dei nostri tempi. Divenuta, dopo anni di lavoro, pienamente padrona di questo materiale, utilizza per scelta, strumenti non meccanici ed elettrici. Lei incide a mano con precisione e lentezza, imitando i segni e gli alfabeti misteriosi che ha registrato con foto e disegni nei suoi lunghissimi viaggi attraverso i principali siti archeologici europei e non solo.
Ne nascono opere che sanno evocare questi cicli primordiali, trasmettendo una forza serena che invita lo sguardo dell’osservatore a soffermarsi sui dettagli. Opere che trasmettono quell’amore per la forma ricavata a mano attraverso un lavoro certosino, con grande pazienza e maestria in tempi dilatati, mentre la serenità che trasmettono deriva proprio da questo. Le sue opere non solo trasmettono serenità, ma anche vibrazioni, è come se riuscissero a creare una risonanza con qualche cosa di antico e nascosto dentro di noi, di cui magari siamo inconsapevoli. Di fronte alle sue opere il visitatore avverte un richiamo potente che spinge a toccare la superficie delle opere sulle quali si vorrebbe abbandonare ad una carezza per apprezzarne il profilo materico che alterna, con abile lavorazione, tratti scavati profondamente come antiche sorgenti sotterranee e fessure impercettibili come quelle scavate dalla pioggia.
Anche la scelta del materiale, come abbiamo detto, non è affatto casuale: la sua superficie fragile e porosa simboleggia proprio la vulnerabilità del nostro tempo, ma al contempo riesce a conservare la forza e la potenza archetipica dei miti antichi, dei quali la scultrice si fa portavoce. Come del resto sottolinea il critico d’arte Enzo Santese:
“L’uso del cemento cellulare espanso nella scultura di Vicentini non è solo una scelta tecnica, ma anche una dichiarazione concettuale. La scultrice non si limita a una riproduzione estetica di simboli antichi, ma li rielabora in una “traduzione plastica”, che rende visibile e tangibile il significato simbolico e archeologico di ciascuna scultura. La sua materia diventa così veicolo di memorie ancestrali, di forze primordiali che si fanno concrete e sensibili nella realtà contemporanea.”
La mostra quindi offre una lettura affascinante dei simboli preistorici ed animali presenti in ogni mitologia come spirali, serpenti, civette ed animali notturni che fanno da cornice e si trasformano in scrittura che ci parla per immagini e per sinestesie emblematiche.
Nel videoservizio di Monolite Notizie è la stessa Bernarda Visentini a raccontare come il suo percorso artistico si radichi nell’archeologia, importante strumento per recuperare un rapporto autentico con la natura, quindi sottolineando l’importanza di riscoprire la nostra connessione con le origini e con la spiritualità, come strumento per il nostro risveglio interiore e collettivo. Le figure più emblematiche della mostra sono riconducibili alla Dea Madre, simbolo universale della fertilità, della creazione e della connessione con la natura e nelle sculture di Vicentini, la Dea Madre emerge in modo potente. Le opere quindi non solo evocano la sacralità e la potenza della figura femminile, ma propongono anche una riflessione sul ruolo del matriarcato e sulle origini della vita sulla Terra.
In particolare, una delle opere più significative è la stele bianca coppellata, intitolata “Lo scivolo della fertilità”, che richiama i misteriosi incavi preistorici trovati su molte rocce in zone alpine. Questi segni, legati a rituali sacri e a pratiche che affondano le proprie radici fin nell’alba dei tempi, sono stati interpretati come simboli di rigenerazione e di rinnovamento, simboli lunari e forse computo dei mesi di gravidanza evidenziati da numerose coppelle strutturate in gruppi di cinque e di nove. Con questo la scultrice si pone come in ascolto di questi poteri ancestrali, avendo quindi trasformato la superficie della stele in un terreno fertile che unisce passato e presente, uomo e natura. Uno degli aspetti che ha maggiormente infuso soddisfazione nella curatrice e nell’artista, oltre al successo di pubblico di appassionati e critici, è stato l’incontro appassionante che ha visto la partecipazione di circa quaranta studenti romani, molti dei quali giovanissimi, emozionando con la loro interazione e considerazioni, la stessa Artista.
«Anch’io voglio raccontare del viaggio più bello che ho fatto: il viaggio più bello che ho fatto è stato qui oggi!!!»
Ha detto una ragazzetta all’Artista che ce lo riferisce visibilmente commossa. La mostra ha quindi rappresentato non solo un viaggio attraverso le epoche, ma anche un’opportunità di dialogo e riflessione tra generazioni diverse, sul valore profondo delle origini e sul nostro legame con la Terra. La mostra “Archeosculture” di Bernarda Vicentini è stata un’occasione unica per riflettere sul nostro passato, sul nostro rapporto con la natura e con la spiritualità, e per riscoprire, attraverso l’arte, la forza di quei simboli universali che continuano a parlare all’uomo di oggi.
Il Professor Sergio Rossi – che ha scritto e presentato in questa occasione il libro “Bernarda Visentini e la sostenibile leggerezza dell’arte” che richiama parafrasando il celebre libro di Milan Kundera “L’insostenibile leggerezza dell’essere” – mette in luce la connessione tra materia e spiritualità che pervade la ricerca artistica della Vicentini ed afferma essere
«non solo una testimone, ma una ri-interpretatrice di quei mondi lontani, riuscendo a restituirli con un linguaggio visivo che è assolutamente contemporaneo».
Un viaggio emozionante dunque, che ha saputo suscitare riflessioni profonde sulla fragilità e sulla bellezza della nostra esistenza, ma anche sul potere che gli archetipi ancestrali continuano ad avere sulla nostra vita. L’esposizione è stata accompagnata da una serie di eventi collaterali che hanno arricchito l’esperienza del pubblico. Oltre al citato incontro con le scolaresche del Liceo Artistico di Via Di Ripetta (Roma), tra gli eventi, il 20 novembre, c’è stato l’interessante incontro sul tema “Forme di poesia tra Oriente ed Occidente (Haiku ed altri poemi)” esplorato dalla performer Simona Verrusio, con contributi musicali e poetici di Michele Tuozzolo, Lorenzo Labagnara, e Terry Olivi.
Il finissage della mostra, previsto per il 22 novembre, ha visto la presentazione del sopraccitato prof Sergio Rossi ma anche l’inaspettata e graditissima visita della fondatrice Bianca Pucciarelli Menna (Salerno, 20 febbraio 1931) (la signora in fotografia accanto, foto su gentile concessione di Vater Sambucini) fondatrice insieme al marito Filiberto del Lavatoio Contumaciale dove si è svolta la manifestazione, come abbiamo detto, nel suo 50° anno di attività.
Poetessa e performer che nel periodo della seconda ondata femminista assunse il nome d’arte di Tomaso Binga come reazione alla disparità di genere, ed esponente di spicco della poesia sonora in Italia che ha parlato a lungo con l’artista Bernarda Vicentini sulle sue opere, ma ci ha anche deliziato con la lettura di alcune sue celebri poesie sonore.
Si riporta di seguito la poesia di cui Bianca Pucciarelli Menna ha dato lettura durante l’evento culturale.
La dott.ssa Carla Guidi, curatrice della mostra infine ha dichiarato:
– “Questa mostra è un’impresa eccezionale perché ci voleva che ricominciassimo a parlare delle energie femminili, delle Grandi Madri che provengono dalla Preistoria e ci insegnano ancora molte cose in un’epoca di aggressività pervasiva all’interno di famiglie e Nazioni, aggressività che potremmo chiamare “liquida” in onore del grande Zygmunt Bauman. Ma l’importanza di questi temi sulle Grandi Madri è dimostrata dal grande interesse suscitato, addirittura non previsto, soprattutto nei ragazzi del Liceo Artistico di Via di Ripetta, una specie di respiro di sollievo direi, come se nonostante tutto l’arte simbolica e le sculture sensibili della Visentini ci avessero ridato speranza!”-
Si ringrazia il fotografo Walter Sambucini per le immagini.
Alessandra Battaglia