Dal 18 al 23 novembre il Teatro Tordinona- Roma ospiterà lo spettacolo “IL GRANDE INQUISITORE”, tratto da “I Fratelli Karamazov”, diretto da Marinella Anaclerio e interpretato da Flavio Albanese e Tony Marzolla, una produzione Compagnia del Sole.
Sul palco del Teatro romano arriva un grande classico di Dostoevskij, adattato per la scena dalla stessa Anaclerio. Lo spettacolo ha debuttato in forma completa al Mittelfest nel 2010 e viene ora ripreso sviluppando solo una parte che vede protagonisti due fratelli, un aspirante scrittore ed un aspirante monaco, due posizioni opposte nel vivere la vita. Si confrontano, forse per la prima volta, in una trattoria.
Dal testo il padre della psicanalisi Sigmund Freud scriveva: «L’episodio del Grande Inquisitore è uno dei vertici della letteratura universale, un capitolo d’una bellezza inestimabile.»
E infatti “Il Grande Inquisitore” (noto anche come “La leggenda del Grande Inquisitore”, che è il titolo di una celebre opera di Rozanov) è un capitolo del romanzo I fratelli Karamazov, dello scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
La leggenda del grande inquisitore è uno dei capitoli più famosi del grande romanzo di Fedor M. Dostoevskij, “I fratelli Karamazov”, pubblicato in Russia nel 1880. Si tratta di un apologo, un racconto che Ivan Karamazov fa a suo fratello Alesa, alla vigilia dell’assassinio del padre e dell’esplosione della sua malattia mentale che lo porterà a vedere e dialogare con un originalissimo Diavolo.
Nell’opera emerge l’aspetto psicologico, antropologico e filosofico di Dostoevskij. Così il racconto può essere analizzato e compreso anche fuori dal contesto del romanzo. Vengono rielaborati temi che riguardano la filosofia morale, la filosofia politica, la filosofia della storia e la filosofia della religione.
Nella trama Ivàn Karamàzov espone al fratello Aleksej un racconto allegorico di sua invenzione, ambientato in Spagna ai tempi della Santa Inquisizione. Dopo quindici secoli dalla morte, Cristo fa ritorno sulla terra. Non viene mai menzionato per nome, ma sempre chiamato indirettamente. Pur comparendo furtivamente, viene misteriosamente riconosciuto da tutti, il popolo lo riconosce e lo acclama come salvatore, tuttavia egli viene subito incarcerato per ordine del Grande Inquisitore, proprio mentre ha appena realizzato la resurrezione di una bambina di sette anni, nella bara bianca ancora aperta, pronunziando le sue uniche parole di tutta la narrazione: “Talitha kumi”. L’Inquisitore «è un vecchio di quasi novant’anni, alto e diritto, con il viso scarno e gli occhi infossati, nei quali però riluce una scintilla di fuoco…».
È lo stesso inquisitore a fare arrestare Gesù e subito dopo ad andare da lui nella prigione in cui è stato rinchiuso esordendo con queste parole:
«”Sei tu? Sei tu?” Non ricevendo risposta, aggiunge rapido: “Non rispondere, taci! E poi, che cosa potresti dire? So anche troppo bene quel che diresti. Ma tu non hai il diritto di aggiungere nulla a quel che già dicesti una volta. Perché sei venuto a infastidirci? Perché sai anche tu che sei venuto a infastidirci. Ma sai cosa accadrà domani? Io non so chi tu sia né voglio sapere se tu sia proprio Lui o gli somigli, ma domani ti condannerò, ti brucerò sul rogo come il più empio degli eretici».
Insomma vogliono “salvarsi “a vicenda…ciascuno vuol portare l’altro alla sua visione della vita. Chi vincerà?
Il maggiore, Ivàn, ricorre al citato racconto che è una analisi lucida sul rapporto fra l’essere umano e il clero di tutte le religioni. L’essere umano ha sempre avuto bisogno di un intermediario per relazionarsi al divino e su questo bisogno si fondano e si distruggono tutte le “Chiese”.
Il suo Satàn…l’Altro in sé. Nella Spagna dell’inquisizione, tra i roghi degli eretici, appare un personaggio misterioso, forse proprio Gesù. La folla lo riconosce e comincia a chiedergli miracoli, lui resuscita una bambina, dona la vista ad un cieco, ma il vecchio inquisitore lo fa arrestare e portare in prigione. L’inquisitore, nella notte và a trovare il prigioniero, forse in preda ad un delirio o forse no, gli spiega il motivo per cui lo condannerà nuovamente a morte.
Ed è proprio la capacità di assumersi tutte le responsabilità del vivere, in sostanza, il terreno su cui si giocherà la partita fra i due fratelli.
“Dostoevskij in questo capitolo analizza la contrapposizione tra libertà e costrizione, tra fede nella vita e negazione di essa. Nella leggenda del grande inquisitore esprime, un forte pessimismo per la condizione umana ma anche l’esigenza di una spietata sincerità”- annota Marinella Anaclerio. “Quando Nietzsche lesse Dostoevskij, l’impressione che ne ricavò fu fortissima. Arrivò a parlare dell’autore russo come di un ‘fratello di sangue’. Come se avesse riconosciuto in lui le sue stesse ossessioni. E forse addirittura qualcosa di più: ossia un certo stile di pensiero, per cui l’idea non è mai un’astrazione, ma sempre e soltanto una realtà incarnata, realtà vivente, realtà fatta persona. Ed è proprio la scultura di questi personaggi-idee che abbiamo provato a realizzare.”
Recita l’estratto emblematico del testo teatrale: “…perché sei tornato? No, non rispondere! Non hai il diritto di aggiungere niente a quello che hai già detto!”
Lo spettacolo è costruito con un impianto Scenico di Francesco Arrivo, Costumi Stefania Cempini, Disegno luci Christian Allegrini, Assistente progetto Loris Leoci, Grafiche Giuseppe Magrone, Organizzazione Dario Giliberti, Produzione Caterina Wierdis.
Appuntamento con un autore iconico della letteratura mondiale, dal 18 al 23 novembre al Teatro Tordinona- Roma.


