Nel silenzio della biblioteca Morandi di Colleferro, circondati da milioni di storie custodite nei libri dai molteplici colori, tutti ordinati, una vita scomposta, piena di zone d’ombra,che un uomo ricompone nel dialogo aperto con il pubblico. Un pubblico attentissimo, immerso in un’atmosfera sospesa tra il tempo, la carta e la grande storia, il periodo degli Anni di Piombo viene affrontato attraverso passioni, la complessità delle vite reali, rivelazioni e prospettive inattese. Gianluca Peciola ha dato voce al suo ultimo lavoro, La linea del silenzio, un memoir intimo e coraggioso che attraversa la memoria personale e quella collettiva del nostro Paese.
A condurre il dialogo, la scrivente giornalista Alessandra Battaglia, che ha accompagnato l’autore in un confronto profondo e mai scontato, svelando il senso di un’opera che non è solo racconto, ma anche guarigione e responsabilità. Il pubblico ha ascoltato in un silenzio partecipe, lasciandosi guidare tra le pieghe del libro come in un percorso di rivelazione.
Accanto all’autore, il Sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna e l’Assessora alla Cultura Diana Stanzani hanno offerto riflessioni cariche di autenticità, sottolineando quanto sia necessario, oggi più che mai, restituire centralità alla narrazione umana nei luoghi della cultura. Le istituzioni, in questa occasione, hanno saputo farsi ascolto e casa per una parola che non urla, ma resta.
A chiudere l’incontro, le parole sentite di Mauricio Raimondo, amico di Peciola e collaboratore dell’amministrazione comunale, che ha voluto ringraziare lo scrittore, educatore e attivista dei diritti umani, per il dono personale e universale che ha lasciato al pubblico con l obiettivo di creare quel processo catartico concesso dal esprimersi autenticamente, fornire prospettive altre, stimolando la comprensione.
La linea del silenzio non è solo un libro. È un gesto di verità. Racconta la scoperta di una sorella nascosta, Laura, militante delle Brigate Rosse, e il lento emergere di una realtà familiare lacerata ma capace di ricomporsi nel racconto. È una discesa delicata ma inesorabile nel cuore doloroso del non detto. Eppure, mai indulgente. Mai cinico. Un viaggio a cercare la famiglia vera, circondati da un affetto autentico ma alterato da menzogne e peso di segreti schiaccianti. Senza mai mettere in dubbio la condanna per le azioni armate, la riflessione in realtà viaggia su un binario diverso, affrontando con andatura umana e misurata a respiro lento, la ricostruzione di una identità familiare mancata per diventare autenticamente se stessi. Una operazione chirurgica senza anestesia quella di Peciola che, con coraggio, si mostra per quello che lui è, senza filtri.
Peciola non scrive per redimere, ma per restituire senso. E lo fa con uno stile che rifiuta la scorciatoia dell’effetto. Preferisce il passo lento, lo sguardo laterale, la parola che accarezza anziché colpire. Il risultato è un’opera che ci obbliga a sostare. A fermarci nei luoghi dove normalmente passiamo senza vedere. Lungo quei fatti che abbiamo classificato ma vediamo in una nuova dimensione.
In quel dialogo, in quella sera, si è respirata la necessità urgente di una politica che torni umana, di una letteratura che abbia il coraggio di affrontare l’ombra, di un linguaggio che sia ponte tra le ferite del passato e la possibilità di guarigione.
Perché come ci ricorda Peciola, scrivere è resistere. E leggere è ancora un gesto rivoluzionario.
Alessandra Battaglia


