Fino al 20 novembre al Teatro Quirino Pirandello continuerà a conquistare grandi applausi del pubblico grazie ad un cast di attori eccezionali guidati dal maestro Gabriele Lavia, nel duplice ruolo di interprete e regista. In scena uno dei capolavori dello scrittore siciliano Luigi Pirandello: ‘A birretta cu’ i ciancianeddi’, quel cappello da giullare che abbiamo conosciuto tra i classici insegnati sui banchi di scuola, nella versione che perde il siciliano per farsi più italiana. Ad interpretarla nel teatro di Roma dedicato a Vittorio Gassman, ci sono gli attori Francesco Bonomo, Matilde Piana, Mariella Piana, Mario Pietramala, Giovanna Guida e Beatrice Ceccherini, tutti nei panni dei personaggi de “Il berretto a sonagli”.
A mostrarci la materia del racconto, con un notevole impatto emotivo, la scenografia di Alessandro Camera, evidentemente astratta ed allestita come un immenso sudario d’amore, un lenzuolo enorme, sgualcito, che occupa le quinte fino al pavimento diventa l’emblema di come il tradimento trasformi l’esistenza, non solo dei diretti interessati, ma di tutto il contesto paesano, in sabbie mobili in cui la stessa casa sprofonda sbilenca.
L’arredamento del salotto buono affonda così sbilenco, in una pozza di malessere così profondo da coinvolgere tutti sulla “soglia” troppo affollata “del nulla”. È il nulla fatto di apparenze in cui c’è spazio solo per identità ‘finte’, per persone trasformate in “pupi” siciliani. La personalità ha dovuto eclissarsi schiacciata dalla forza di ciò che appare, sostituita dal personaggio che l’ha sovrastata. Il pubblico comprende questo potente messaggio da come entrano in scena gli “attori”: sono appunto enormi personaggi deformati dalla propria inquietante ombra. Giganti senza sostanza, fatti della buia proiezione solo delle apparenze che la gente vede. Maschere, attori, personaggi, non identità, non persone. Vale anche per tutta la gente del paese, sempre presente ai bordi della scena per ascoltare, spiare, giudicare sopratutto. Lo scandalo irreparabile si scatena così furioso da imporre un ‘rimedio’ altrettanto lapidario. Ecco compiersi la tragedia che incontra la folle soluzione migliore: la pazzia. Tutto il talento di Gabriele Lavia interagisce così fluidamente da rendere lo spettatore tanto partecipe da far sembrare che tutto si stia compiendo, secondo dopo secondo, adesso e qui. La vicenda è attualissima e dipinge le miserie umane, prima tra tutte l’ipocrisia, che condanna la verità a follia e salva i colpevoli pur di mantenere le finte apparenze la cui realtà è ben nota a tutti.
Un grande appuntamento di teatro per apprezzare la filosofia di Pirandello, quella sintetizzata dalla metafora delle tre corde che abbiamo in testa: quella civile, quella seria e quella pazza. Viviamo attivandole nelle relazioni con gli altri “mettendoci in gioco”. Ma “non si può difendere il proprio ‘io’ dagli attacchi del mondo. Non è possibile uscire dal mondo, uscire da noi stessi. Se lo facciamo siamo morti viventi” questo dice Gabriele Lavia. Vibrante ed attualissima, una tragedia capace di far riflettere in modo costruttivo sulla vita e sulle dinamiche delle relazioni umane, superficiali ma feroci, incollate sull’identità di ciascuno, una proiezione ineluttabile di fragili apparenze.
Alessandra Battaglia


