C’è una Roma che non fa rumore. Che non si prende la scena, che non strilla, non spinge, non corre per apparire. È una Roma che resiste nei quartieri, nei centri sociali, tra le aule delle scuole popolari e nelle biblioteche dimenticate. È fatta di voci basse, mani sporche di lavoro e occhi che hanno imparato a vedere oltre il degrado. Gianluca Peciola viene da lì.
Chi lo conosce lo sa: è uno che ascolta prima di parlare. Che preferisce farsi domande piuttosto che dispensare risposte. E quando scrive, non urla. Accompagna. Ti prende per mano, ti porta dentro la città e poi si fa da parte, lasciando che siano i volti, i fatti, i dettagli a parlarti. Non cerca la grande frase a effetto. Non ama i riflettori. Ma è difficile dimenticarlo, una volta che hai letto quello che ha scritto.
La politica come luogo da vivere, non da conquistare: Peciola è stato consigliere comunale di Roma. In quegli anni, ha scelto di essere vicino alle persone, camminando davvero nei quartieri. Chi lo ha incontrato lo ricorda sempre a piedi, tra i mercati, nelle case occupate, nei comitati di quartiere. Non una presenza di facciata o da selfie, ma un incontro autentico. Uno di quelli che ti ferma per chiederti «come va?» e lo fa davvero, con interesse sincero. Perché per lui la politica è fatta di relazioni vere, di partecipazione quotidiana, di ascolto vivo.
Chi oggi parla di “politica di prossimità” farebbe bene a studiare quegli anni. Perché in quel tempo difficile, fatto di tagli ai servizi, emergenze sociali e una città sull’orlo della bancarotta, Peciola ha messo al centro i diritti. Ma non quelli astratti: quelli che si toccano. La scuola sotto casa, il diritto alla casa, l’accoglienza per chi arriva da lontano. Ha seguito da vicino progetti di scolarizzazione per i bambini rom, ha difeso i centri sociali come spazi di produzione culturale e non come zone franche. Ha dato voce – sul serio – a chi non ne aveva.
La scrittura arriva come un fiume sotterraneo. Chi lo conosceva in Campidoglio già sapeva che scriveva. Ma pochi immaginavano che quelle note appuntate su quaderni, quei racconti mai letti, sarebbero diventati libri. Non autobiografie, no. Ma nemmeno romanzi puri. Peciola ha scelto una strada a metà: raccontare fatti veri, restituendoli con lo sguardo di chi li ha vissuti.
Il primo a uscire è stato Il sindaco Marino e la grande corsa (Iacobelli editore, 2015). Un testo scritto a caldo, quasi un diario, in cui si ripercorre la breve ma intensa esperienza dell’amministrazione Marino.
Non è un libro autocelebrativo. Non ci sono santini né vendette. C’è piuttosto il bisogno di raccontare come un’idea di città – fatta di trasparenza, mobilità sostenibile, legalità – abbia potuto naufragare non solo per colpa degli avversari politici, ma anche per l’assenza di una rete solida capace di proteggerla.
Chi lo legge oggi, a distanza di dieci anni, ritrova molti dei temi che ancora agitano Roma: la lotta al clientelismo, il bisogno di una mobilità nuova, il rapporto complicato tra giunta e burocrazia. Ma soprattutto si percepisce il dolore di chi credeva davvero di poter cambiare le cose. Un dolore che non diventa rancore, ma memoria viva. Perché ricordare serve, e chi ha perso sa quanto sia importante non far finta che non sia successo niente.
Come scrittore, ha pubblicato diversi libri tra cui uno meno noto Memet il medium, Berivan il cuore. Da piazza Kurdistan alla cartonopoli del Colosseo (Edizioni Cooperativa Magma, 2000). L’opera racconta il viaggio di due giovani curdi dalla loro terra devastata dalla guerra fino ai margini di Roma, dove la vita si gioca tra sogni spezzati e speranze resistenti. Memet porta con sé la voce degli spiriti e delle tradizioni, mentre Berivan incarna la forza dell’amore e della tenerezza in un mondo che spesso ne è privo. Tra piazza Kurdistan e la cartonopoli vicino al Colosseo, il libro esplora il dramma dell’esilio e le sfide dell’integrazione, svelando un pezzo di città nascosta e le storie di chi, senza radici, lotta per non essere lasciato indietro.
Genova 2001: un passaggio obbligato per una generazione: Se Marino è stata la sfida politica più forte, Genova 2001 è la ferita che brucia ancora. Con Rincorrere il vento. Genova 2001 (L’Incisiva, 2021), Peciola torna al G8 come testimone e narratore. Ma anche qui, niente retorica, niente slogan.
Il libro è costruito in forma di romanzo, eppure respira realtà a ogni pagina. Il protagonista, un giovane militante, attraversa quei giorni come dentro una tempesta: entusiasmo, paura, rabbia, e poi lo smarrimento dopo i pestaggi, dopo la scuola Diaz, dopo la morte di Carlo Giuliani.
Ci sono libri che vogliono spiegare. Questo no. Questo ti mette lì, in mezzo alla strada, tra la folla. Ti fa sentire i cori, le sirene, il rumore degli elicotteri. E poi il silenzio della notte, quando non riesci a dormire perché ti chiedi: «ma davvero è successo tutto questo?».
Peciola non giudica. Osserva. E lascia che a parlare siano i sentimenti di un’intera generazione che in quei giorni ha perso l’innocenza.
Il suo ultimo libro, La linea del silenzio. Storia di famiglia e di lotta armata (Solferino, 2024), è un’opera diversa. Un memoir personale, profondo, coraggioso. Non ne parleremo ora, perché merita uno spazio tutto suo. Ma segnatevi questa data: 30 maggio, Colleferro. Sarà lì che il libro prenderà voce, durante una presentazione pubblica a cui parteciperanno l’autore stesso e il Sindaco di Colleferro, Pierluigi Sanna. Un’occasione speciale per ascoltare dal vivo una storia che scava nella memoria del nostro Paese e nell’intimità di chi ha scelto di rompere il silenzio. Per ora, lo lasciamo sul tavolo, come una promessa da non dimenticare.
Gianluca Peciola è un educatore prima di tutto: oggi lavora come formatore. Incontra giovani, fa formazione politica e sociale, costruisce percorsi di cittadinanza attiva. Non ha mai smesso di occuparsi degli altri. Lo fa senza proclami, senza bisogno di titoli. È tornato alla base, si potrebbe dire. Ma in realtà non se n’è mai andato.
Chi ha vissuto la politica come passione civile non ne esce mai del tutto. La differenza è che Peciola ha scelto di restare senza divisa. Continua a credere che si possa cambiare le cose partendo dal basso, una persona alla volta, un libro alla volta.
Scrivere come gesto politico: Peciola ha anche collaborato con testate giornalistiche indipendenti e ha utilizzato la scrittura come strumento di riflessione e pacificazione personale. Il suo lavoro esplora temi legati alla memoria storica, ai legami familiari e alle dinamiche sociali. La sua scrittura, caratterizzata da un linguaggio realistico e incisivo, rimane un punto di riferimento per chi cerca narrazioni autentiche e profonde.
Scrivere, per lui, è diventato un modo per resistere. Per non dimenticare. Per fare memoria, ma anche per aprire spazi di confronto. In un tempo in cui tutto deve essere immediato e urlato, i suoi libri ci ricordano che esiste ancora il tempo della riflessione. Della cura. Della parola scelta con attenzione.
E poi c’è un’altra cosa, forse la più importante: leggendo Peciola si sente che c’è amore. Per la città, per le persone, per le storie. Un amore che non idealizza, che non edulcora, ma che resta saldo anche quando tutto sembra crollare.
E noi, siamo ancora capaci di ascoltare? Forse è questo che ci lascia alla fine dei suoi libri: una domanda. Siamo ancora capaci di ascoltare davvero? Sappiamo riconoscere chi ci sta accanto, anche se non grida? Abbiamo il coraggio di restare quando tutti vanno via?
Gianluca Peciola non ci dà risposte. Ma ci offre storie, incontri, frammenti di verità. E, a pensarci bene, forse è proprio questo che serve oggi. Non l’ennesima opinione gridata, non lo schema da applicare a ogni costo, ma la possibilità di ascoltare una storia che non conoscevamo. Di vedere il mondo per un attimo con occhi diversi dai nostri. Perché le storie, quando sono vere, fanno due cose: ci scomodano e ci riconciliano. Ci costringono a guardare dove non volevamo guardare, ma al tempo stesso ci ricordano che non siamo soli, che la fatica di vivere è condivisa, che le domande che ci facciamo le portano in tasca anche gli altri. Una buona storia non ci consola, ma ci accompagna. Ci obbliga a metterci in discussione, certo, ma anche a sentirci parte di qualcosa di più grande.
Peciola, con la sua scrittura, non pretende di cambiare il mondo. Ma ci invita a non spegnere la curiosità, a non cedere all’indifferenza. E questo, oggi, è un atto politico. Forse il più radicale di tutti.
In fondo, che cos’è una storia, se non un tentativo di resistere al silenzio?
Raccontare serve. Leggere serve. Perché una storia – quando è scritta con onestà e attraversata da vita vera – può essere quel passo avanti che aspettavamo. Non ci porta dove vogliamo, ma ci muove. E in tempi come questi, muoversi è già tanto.
Gianluca Peciola continua a scrivere. Il suo nuovo libro, La linea del silenzio, uscito da poco, verrà presentato dal nostro Direttore Alessandra Battaglia a Colleferro il 30 maggio prossimo, alle ore 17.30, nella Biblioteca Morandi con la presenza del Sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna. Sarà l’occasione per tornare a incontrarlo in un’intervista che dedicheremo interamente a quest’ultima opera. Ma già oggi possiamo dire una cosa: se cercate un autore che non vi imponga la sua verità, ma che vi accompagni con umanità nella complessità di questi anni, non serve andare lontano.
È tutto lì, tra le righe di una storia raccontata piano. A passo d’uomo.
La descritta iniziativa si inserisce nel ciclo Conversazioni con gli autori Dino Tropea
Riepilogo Info
La linea del silenzio / presentazione del libro di Gianluca Peciola
alla presenza dell-autore Gianluca Peciola
con l-introduzione del Sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna
30 maggio 2025 ore 17.30 Biblioteca Morandi, Colleferro RM
INGRESSO LIBERO