Home RubricheFumetti Barbara Baraldi: «Il mio Dylan Dog non sarà politicamente corretto»

Barbara Baraldi: «Il mio Dylan Dog non sarà politicamente corretto»

"Voglio storie che lascino domande piuttosto che risposte"

da Gianni Alfonsi

Scrittrice e fumettista fra le più prolifiche e apprezzate, si muove a cavallo fra noir, thriller e horror, ma è anche una “darkettona in un paesino minuscolo della Bassa emiliana” dove, ci ha confessato, «soffrivo di timidezza cronica, facevo fatica ad approcciarmi con gli altri e i miei amici vivevano nei miei libri e nei miei fumetti».

Barbara Baraldi è la nuova curatrice di Dylan Dog che segue la gestione Recchioni (link all’articolo) , scelta da Sergio Bonelli Editore, sembra quasi uscita lei stessa dalla penna di Tiziano Sclavi, lo storico creatore dell’Indagatore dell’Incubo.

L’orrore sarà la parola d’ordine, una dichiarazione di intenti e una sorta di “termine ombrello” sotto cui si riunirà tutto ciò che è misterioso, surreale, sconosciuto, inaspettato. L’onirico e il simbolico, ma anche lo splatter. Tutto ciò che in qualche modo ci spaventa avrà spazio nelle pagine di Dylan. Finali interlocutori, episodi che una volta conclusa la lettura lascino domande piuttosto che risposte. L’intento di Barbara Baraldi è far tesoro della lezione di Sclavi, che tramite l’orrore ha la capacità di trasmettere emozioni, di offrire riflessioni esistenziali, filosofiche, parlare alle persone ai margini, mantenendo un registro espressivo comprensibile a tutti. «Confido che le storie stesse risponderanno meglio di me a questa domanda».

Barbara Baraldi ha da poco presentato il suo piano editoriale confermando di voler sostanzialmente proseguire il percorso intrapreso da Recchioni con il Color Fest, anticipando anzi che molti dei sceneggiatori e disegnatori passeranno ala testata ufficiale; i fratelli Cestaro alla copertina e il ritorno, almeno questo è il tentativo, di vecchie glorie ai disegni e sceneggiature.

Un ritorno al passato quindi, “ma non sarà politicamente corretto”. È nel DNA di Dylan essere sempre al passo coi tempi, raccontare il presente ma senza esserne coinvolto: la sua irriverenza, combattere i cattivi, ma provocare il lettore lasciandolo, alla fine della storia, con più domande che certezze.

Nel 2012, invece, esordisci come sceneggiatrice di Dylan Dog con Il bottone di madreperla disegnato da Paolo Mottura. Che esperienza è stata, la prima, con l’indagatore dell’incubo?
Proponevo soggetti che mi venivano regolarmente rifiutati. È stato allora che ho capito che per scrivere Dylan dovevo dare qualcosa di mio, di personale. Colleziono fin da bambina bottoni di madreperla. Ai tempi ne tenevo uno sempre in tasca come portafortuna. Li conservavo all’interno di barattoli di vetro, nel mio appartamento, quando nel 2012 è arrivato il terremoto dell’Emilia. La prima volta che sono rientrata, li ho trovati sparpagliati sul pavimento, in mezzo alla devastazione. Dopo due mesi, la mia storia è uscita in edicola. È stato surreale: nella prima tavola, che avevo descritto circa un anno prima, ho ritrovato la stessa scena. Forse, è stato proprio in quel momento che ho capito una volta per tutte che Dylan era nel mio destino.

Nella tua presentazione hai detto: «Riporteremo l’orrore in primo piano». In che modo intendi riuscirci?
Selezionando le proposte di soggetto nell’ottica di ciò che possono trasmettere a livello emotivo, una volta realizzate. Incoraggiando tutti gli sceneggiatori a dialogare con le proprie ossessioni, e i disegnatori a lasciarsi andare alle visioni più ardite. Cerco storie che esplorino l’inconscio, il rimosso. Ricordando che l’orrore esistenziale resta sempre quello che fa più paura.

La supervisione delle storie rimarrà di competenza del creatore Tiziano Sclavi. Barbara Baraldi sta già lavorando alle nuove storie anticipando che si ritornerà per lo più a stori auto conclusive, ma il primo numero del nuovo corso dovremmo aspettare ottobre 2023. Noi non vediamo l’ora…

“Lo ammetto, mi tremano i polsi” – scrive Barbara Baraldi sul proprio sito web – “Ma c’è anche tanta voglia di mettermi al lavoro. Perché la cosa più bella di questo mestiere è vivere all’interno delle storie. Non smettere di esplorare l’animo umano attraverso l’orrore, il genere che più di ogni altro scava nell’inconscio, nel rimosso, e ci permette di allenarci alla paura”.

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